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S'el Filippide l'era de Milan el diseva bella lì (contiene Maratona di Reggio Emilia)

Un giorno ho letto da qualche parte, non ricordo se su una rivista di settore o su una biografia, la considerazione di uno specialista nostrano della disciplina. Vincitore, tra le tante, di una Maratona olimpica. Un amatore che si rispetti, diceva, percorre i 42.195 metri della Maratona in 3 ore e mezza. Erano i primi tempi della corsa e non potevo che pensare che la Maratona fosse il punto più alto della parabola che il podista che ancora non ero potesse raggiungere. Un vero e proprio punto d’arrivo. Mi piaceva l’idea di essere considerato un amatore rispettabile e, cosciente che alla mia età e con mezzi fisici non di prim’ordine non potevo ambire all’eccellenza, ho deciso che quello poteva essere il mio obiettivo. La rispettabilità. Mi fa sorridere, ora, mentre scrivo questo post, il pensiero di quanto io mi stia affannando alla ricerca della rispettabilità. Come a dire che se la mia carente autostima talvolta non mi fa sentire adeguato, in questo, nella corsa, dove il risultato (dovrebbe) dipende(re) solo da me, con la corsa io posso in qualche modo dar sollievo ai miei malesseri esistenziali. Certo, non del tutto redimermi, ma togliermi di dosso un po' di merda sì, dai. A ogni modo, nel tempo, frequentando l’ambiente e podisti di ben altro (alto) livello, ho capito che si può essere un amatore più che rispettabile anche senza averne corso nemmeno una, di Maratona, e, nonostante risultati gratificanti su diverse distanze, nonostante questo, non sono mai riuscito a togliermi di testa quella frase, che risuona sempre accompagnata dai numeri dei miei tre precedenti insuccessi. Poi, negli ultimi tempi, giusto per complicare ulteriormente le cose, ho deciso che la felicità passa per Boston (per correre a Boston la più antica Maratona al mondo, è necessario avere un tempo di accredito. Io, a Boston non ci voglio mica andare, ma ho deciso che quel tempo definisce in maniera ancora più precisa la soglia della rispettabilità, che, per la mia categoria - SM45 - è di 3 ore e 20 minuti.) e, per farla breve, l'obiettivo dichiarato per la Maratona del ritorno, dopo 3 anni, dopo aver detto basta con la Maratona e aver poi cambiato idea, è fissato in 3 ore e 20 minuti. Solo 22 minuti e 55 secondi meno del mio, al momento della partenza, tempo migliore. Cosa che, sebbene appaia un'esagerazione ignorante come poche, ritengo possibile e nella quale credo con grande convinzione fino a poco dopo la partenza. 

Appena dopo aver visto il cartello con il Km 1, infatti, in un tratto dove mi è stato detto è caduto più d'uno, qualcosa non ha funzionato nell'appoggiare il piede destro. Forse lo spigolo di un piccolo marciapiede all'uscita di una curva, col gruppo ancora compatto e nessuna visibilità, oppure la fuga tra due lastre del pavé del centro storico. La caviglia destra mi si è girata come succedeva ai tempi in cui non potevo fare a meno del tutore e, nell’agitazione del momento, ho preso in seria considerazione l'ipotesi del ritiro. Mi chiedevo come avrei potuto correre in quel modo per oltre 41 chilometri. Ho proseguito, ma con poca fiducia e davvero molto dolore. Arrabbiato. Distratto da quello che consideravo un fatto pressoché certo, che si sarebbe materializzato nel volgere di poco, probabilmente. Per niente lucido. Con la testa bassa (il torcicollo di oggi e molte di queste immagini lo testimoniano), attento a ogni appoggio, attento a evitare una seconda e senz'altro definitiva distorsione. Essere abituato a correre sul dolore dei miei acciacchi ricorrenti, in questo caso, mi è stato di grande aiuto. Non ha risolto il dolore, ovvio, ma non mi ha precluso nulla. Almeno dal punto di vista fisico. Tant'è che il ritmo, al cartello dei 10 Km, era quello giusto, intorno ai 4'45"/Km. Merito del pilota automatico più che della confusione che avevo in testa, ma bene così. Al Km 15, senz'altro per via dell'appoggio incerto, sento formarsi una vescica sotto l'avampiede destro e, per la seconda volta, mi sento aggredito dallo scoramento. Una piccola svolta arriva subito dopo, però: al campionario di tutto quello che non vorresti ti succedesse in gara si aggiunge un improvviso dolore alla pancia, sento che entro breve dovrò fermarmi per cagare. Approfitto di una siepe e spruzzo con nonchalance un angolo della campagna reggiana. Mi libero della merda che avevo nel corpo e pure di quella che avevo in testa, riprendo con inaspettata leggerezza. Arrivo alla Mezza con un minuto di ritardo rispetto al piano gara e me ne compiaccio: avevo paura di partire troppo forte e la consapevolezza che questo non sia accaduto mi fa pensare di aver corso con la testa, almeno fino a quel momento. Nonostante le difficoltà. Nonostante gli imprevisti. Recupero dopo, mi dico, quando la strada smetterà di salire. Peccato non succeda, o meglio, peccato che la Maratona di Reggio Emilia – bellissima, specie con il sole e una temperatura ideale come lo è stata domenica - sia un costante sali e scendi che non è compatibile con la piattezza dei miei allenamenti metropolitani e le mie grandi difficoltà a cambiare ritmo. Vedo, chilometro dopo chilometro, che i tempi non sono quelli che mi avrebbero dovuto portare a raggiungere il mio obiettivo, ma non mi perdo d'animo. Capisco che sto comunque facendo qualcosa di buono. A due/tre chilometri dalla fine, mi capita quello che non mi era successo mai prima d'ora: all'urlo d'incitamento di una persona lungo il percorso, inizio a piangere. Corro e piango. Fatico a respirare, mi strozzo.  Piango e corro. Qualche centinaio di metri e mi passa. Mi chiedo perché sia successo, mi rispondo che forse quelle lacrime erano figlie della rabbia per non aver potuto correre, nemmeno questa volta, con serenità. E sento, sapendo quanto e come mi sono dedicato alla preparazione di questa gara, di non meritarmelo. Capisco che sono ormai alle corde, che sia le energie fisiche che quelle mentali stanno per esaurirsi, ma riesco a correre, senza forzare oltremodo, solo qualche secondo sopra i 5'/Km. Che va bene, infondo, per come sto. Visto il cartellone col Km 40, capisco che è questione di minuti, ormai. Pochi. I peggiori. Quelli in cui tutto può succedere. Tant’è. Nei pressi dell'arrivo, provo a dar fondo al poco che mi rimane da spendere, ma, altra novità, altro regalo del destino, un crampo al bicipite femorale destro mi fa urlare di dolore, mi impone di camminare qualche passo. Mi vedo sfilare da parecchi concorrenti con cui ho corso la gran parte della gara, perdo qualche decina di posizioni, ma riesco a non farmi rovinare del tutto l'arrivo. Riprendo a correre, taglio il traguardo alzando il pugno in aria dopo 3h24'13". Dicendo bella lì, sì, bella lì. Come avrebbe detto Filippide ai suoi concittadini, se fosse stato di Milano. E come recitava la mia maglietta, che lo zaino con cui ho scelto di correre ha reso però illeggibile.
Oggi penso che potrei mostrarla a Milano, la maglietta. Fra 4 mesi. Ma potrei anche cambiare idea. Magari domani decido di non correrla, la Maratona di Milano. Oppure decido di correrla con un'altra maglietta. 

Se guardo ai numeri, capisco di aver raggiunto il primo quartile sia nella classifica assoluta (percentile 81) che nella classifica di categoria (percentile 75). Vero, non ho sbloccato il livello Boston, ma la condotta di gara e tempi al chilometro sempre piuttosto costanti, anche nel finale, mi fanno capire di averla preparata e gestita bene. Sono contento, insomma. Forse – forse – con un po’ più di serenità e senza alcuni degli imprevisti che mi sono capitati, forse sarebbe andata meglio. Oppure no. Le belle sensazioni che ho provato dovrebbero consigliarmi di riprovarci, le sfighe che mi sono capitate potrebbero indurmi a pensare che altre 12 settimane di dura preparazione potrebbero essere vanificate dopo un solo chilometro di gara. Non so. Ora me la godo. E ogni volta che passo sul ponte Viola, ogni volta esulto come ho sognato di fare per 6 anni.
Bella lì.

Cinghiale Firenze Marathon

La prima maratona del cinghiale.
Partiamo da luglio, anzi da prima...
Un discorso tra me e me che poi dopo qualche settimana è diventato reale con il mio amico Podista Anonimo Lofa.
"Ma perchè non ci facciamo una bella maratona in autunno?"
"Ma no dai..."
"Ah però già l'anno scorso, a prezzo scontato, volevo iscrivermi a Firenze" (per la serie "le cose succedono già nella tua testa
ma tu ancora non lo sai")
"Ma guarda un po', ci sono gli interbancari di Maratona, magari la mia banca mi paga l'iscrizione. Per fortuna che l'anno scorso
l'acquisto online della Firenze Marathon è andato male"
Insomma il fato e il subconscio stavano già lavorando per me.
Io intanto mi dicevo che c'era tempo per l'allenamento, in effetti ce n'era ma ancora non sapevo.
A luglio ho fatto la Re Stelvio, bellissima gara, 21km in salita, gara mozzafiato per gli occhi e per l'altitudine.
Paesaggi spettacolari e ristoro finale che non ha eguali, eravamo praticamente in trattoria (e il bisogno di mangiare c'era!).
Ho corso 3h09', mi sono detto che forse potevo fare una maratona, mi ero ripromesso anche di tornare a scrivere su questo blog.
Aspetta, aspetta e ti passa la poesia.
Ecco! Non voglio commettere lo stesso errore e dimenticarmi tutto: verba volant, scripta manent.
Dopo luglio mi ammalo pesantemente e sto fermo 3 settimane, poi le ferie e il caldo...
Riparto a settembre quasi azzerato e preparare una maratona a settembre quasi azzerato mi sembrava un po' stupido ma ormai già a
luglio la decisione era presa e anche io iniziavo già a rendermene conto.
3 mesi di allenamento, il secondo soprattutto molto devastante.
Sveglia presto la mattina, anche alle 5:30 e non è normale.
Comunque... ci provo, supero le varie difficoltà e alla fine "cedo" il terzo mese.
Ma va bene, è quello di scarico.
Entro i primi giorni di ottobre dovevo dare la mia disponibilità al Presidente.
Non ero pronto e non sapevo se lo sarei stato, il Presidente mi ha dato coraggio e così ho deciso ufficialmente di iscrivermi.
Grazie Presidente!
Le 3 settimane dei lunghi e lunghissimi sono state devastanti.
Arrivavo a malapena a farne 27 e poi morivo, però poi sono arrivato a farne 32 per poi morire ancora e poi a farne 35 e morire di nuovo.
"Magari riuscirò a farne 42 per poi morire"; "Ma dove voglio andare?" pensavo tra me e me.
Mi sono affidato allo scarico e all'adrenalina del momento e al fatto che tutti dicono che sia una cosa mentale... "Il cazzo"
pensavo io, le ginocchia inchiodate e i dolori che non mi fanno camminare dopo i lunghissimi non sono "robe mentali".
Finisco il mese di scarico dopo 2 raffreddori, una Mezza di Busto (bellissima, ottenendo un 1h49', non molto adatto per uno
scarico ma comunque ne avevo bisogno per il morale) e 10K di Alpin Cup (non provavo a stare sotto i 50 da tanto tempo).
Arriva il momento di prenotare il treno, i giorni passano e la settimana prima della gara ho almeno un paio di tentati attacchi
di panico.
L'intestino si è bloccato, il corpo gonfiato, ero teso come una corda di violino ma tengo botta.
Tutto questo dura fino all'entrata della Leopolda dove ormai sono già in clima gara.



L'agitazione diventa sana emozione, non penso ad altro se non alla maratona.
Colori, casino, pettorali, pacco gara; è tutto molto, molto, molto bello!
Alloggio a casa di amici; come pregara non è l'ideale perché io corro per mangiare e non mangio per correre.
Alla fine la serata va come deve andare: chiacchiere, risate, cibo, prosecco, ricordi, cibo, vino, scherzi, arancello, sigaretta
e tutti a letto.
Dormo 6 ore ma dormo, mi sveglio già stanco.
Piove! Non doveva piovere, poi doveva piovere, poi ancora no e alla fine tanto tuonò che piovve.
La pioggia non mi dispiace ma proprio non ne ho voglia.
Sono assonnato, il cielo è cupo.
Checco mi accompagna alla mia gabbia, una gabbia che ho onorato, perchè sarei dovuto stare nell'ultima non avendo un tempo di
accreditamento. Ho rispettato il tempo prefissato, ma non anticipo nulla.
La partenza è surreale, ci obbligano ad entrare in gabbia alle 8 e aspettare più di 30 minuti sotto la pioggia (e non fa certo
caldissimo).
In mezzo ai palazzi storici tra Piazza del Duomo e Piazza della Signoria è tutto un po' grigio e l'eleganza di Firenze si sente
ma sono ancora stordito dalla sera prima, l'emozione e il poco sonno.
Il Garmin nuovo non prende ma per fortuna questo modello parte anche senza segnale GPS completamente agganciato.
Iniziano le danze, parte uno sparo, noi partiamo 6 minuti dopo, il tempo di far scodare tutte le bestie nelle gabbie prima della
nostra.
Parto senza riscaldamento tanto c'è tempo, appena fuori dal centro imbocchiamo i Viali per 3 km.
C'è casino, dobbiamo spezzare il fiato ma andiamo talmente lenti che potrebbe anche non servire (eppure controllando il
diagramma dei battiti si vede un picco anomalo all'inizio: emozione? rilevamento inaffidabile?).
I Viali non mi piacciono, fortuna che dopo 5 km iniziano il tratto nel Parco delle Cascine, 10km dove la pioggia batte
abbastanza forte, così forte che mi fermo 2 volte a fare la pipì, forse l'acqua è finita dritta nella vescica :), MAI
SUCCESSO... così presto poi!
Al settimo km incrociamo il primo ometto e poco dopo la prima femminuccia: marziani che dopo 35 minuti hanno già fatto il doppio
della distanza che ho percorso io.
Bello il pezzo alla Cascine lungo l'Arno e bello trovare la mia schiera di tifosi: Checco, Alida, Milica e Carmela che mi fanno
perdere 10 secondi.
Gli abbracci, i baci e l'affetto varranno pur ben più di 10 secondi di una maratona? Domanda retorica!
I primi 17km li passo pensando a quanto faticherò dopo altri 10 km e quanto ancora mi mancherà prima della fine.
Poi inizia uno dei pezzi più belli ma anche probanti: siamo sul Lungarno in centro città, lì tira un vento gelido che non aiuta
quando sei bagnato.
Facciamo avanti e indietro per i ponti (3 volte).
La prima volta è su Ponte Vecchio, deve essere cambiato il percorso negli ultimi anni perchè molti ricordano che fosse alla fine
della maratona, faticoso e scivoloso.
Noi ce lo godiamo al 20°km quando siamo ancora lucidi per prenderci i 5 dei bambini e sentirci urlare Go! Go! Allez! Dai! Forza!
e tutto questo dà una carica incredibile, energie mentali impagabili.
Non c'è zucchero che penetri nel cervello meglio di un cinque di una bambino di cinque anni.
Non so cosa succeda durante quel tocco, forse autocompiacimento per essere un maratoneta? Un eletto?
Non penso perché sei troppo stanco per sentirti figo e poi quando arrivi al settantesimo percentile in classifica generale hai
poco di cui sentirsi figo.
Intanto il centro di Firenze (o quasi) prosegue per altri 3/4km.
La mia media è 5:56 ma sto andando a 6:00 min/km e quindi è solo il vantaggio iniziale che mi mantiene sotto la media che mi ero
prefisso.
Quando arriva il traguardo della mezza maratona ho il secondo crollo mentale, penso che sono solo a metà e che sono già stanco e
devo fare la stessa cosa che ho fatto fino a quel momento ma con 21 km in più nelle gambe.
Poi accade l'inevitabile: mi scappa la cacca; vedo un gabinetto chimico ma è chiuso (e per fortuna che ce ne sono)!
Ah... organizzazione perfetta a Firenze! Ospitare 10.000 atleti non è cosa facile. Il percorso è bello anche se quando sei in
centro, 'ste c***o di pietrone danno non pochi problemi.
Torniamo alla cacca, la signora del bar davanti al chimico mi offre la possibilità di farla lì da lei.
Perdo 2 minuti ma riparto con più convinzione in me stesso e qualche etto fuori me stesso, zavorra inutile! :)
Ho lasciato il wc meglio di come l'ho trovato e ringrazierò per sempre questa splendida signora, alla faccia della proverbiale
antipatia degli esercenti fiorentini.
Graziè Signò!
Ora mi ritrovo tra il gruppo di alcuni ragazzi portatori di handicap trasportati da volontari e i pacer delle 4h e 15'!
Decido di stare con loro perché vanno alla mia velocità nonostante la mia media passi da 5:56 e 6:02 post-cacca.
C'è un pacer che parla sempre, fastidioso ma in fin dei conti simpatico.
C'è anche una ragazza carina e gentile, credo si chiamasse Antonella, con il mascara slavato dalla pioggia.
Loro ovviamente vanno bene :)
Intanto un ragazzo sulla sedia a rotelle, trasportato, praticamente tetraplegico o quasi, mi fa coraggio. Lui cerca di dare
coraggio a me quando non ho bisogno di spendere troppe parole per farvi capire chi dei due ce l'avesse e chi neanche merita di
pronunciare quella parola.
Intanto i pacer ed io ci incontriamo e ci lasciamo tipo molla a causa dei ristori che li rallentano un po'.
Arriviamo al 29 e Antonella (?) dice che i problemi iniziano da quel momento ma che è tutto mentale, intanto quell'altro blatera e
importuna le vecchiette.
Io le voglio credere e la seguo fino al 35. Intanto tra il 29 e il 35 passiamo da Campo di Marte e lo Stadio.
Altro momento di cedimento serio e zona di Firenze assolutamente spiacevole. Sei solo, stanco, in preda allo sconforto e in più
non hai neanche nulla di bello da vedere.
Il fatidico 35 arriva, l'Everest dei maratoneti, la Trista Mietitrice dei quadricipiti, il Tilt dell'elettroencefalogramma.
Ma io lo so, mi sono preparato per questo e Antonella mi ha detto che è solo una questione mentale, le ginocchia non fanno male.
Ma io mi metto a piangere, ho voglia di sfogarmi, sfogarsi fa bene, non è poco virile, chi lo dice che un maschio non può
piangere e io lo faccio, piango!
Mi sento meglio ma non posso piangere per sempre e quando smetto di piangere mi sento un piangina, una vittima, una merdina, uno
che non ce la fa, una mezza sega, uno che si è allenato per 3 mesi per un c***o.
E questa cosa mi ferisce e mi vuole abbattere, mi vuole far fermare, mi vuole morto... eh ma io ho il ***** *** dalla mia parte (chiedere personalmente al sottoscritto il significato degli asterischi).
Nessuno mi può abbattere, ho lavorato mesi per questo e non cammino, non voglio camminare e non camminerò!
Mi prendo l'ultima cosa che mi ero portato come nutrimento. Un integratore con amminoacidi per l'affaticamento + caffeina.
Sarà doping? Funziona? Non funziona? Placebo? Non lo so, con me ha funzionato 6 volte su 7.
Mi metto in "modalità sofferenza": busto inclinato in avanti, schiena piegata a destra, gambe fluide come quelle dell'uomo di
latta nel Regno di Oz, smorfie, bocca aperta a semiparesi dopo l'ictus, testa piegata a guardare i piedi, cervello aperto solo
per gli input sonori dei tifosi e quelli essenziali alla sopravvivenza, campo visivo al minimo.
Il centro di Firenze è bello ma non lo vedo molto. Sento Alida, Carmela, Milica e Checco che ogni tanto urlano, appaiono e
scompaiono nel giro finale da 5km.
Mi sembra un labirinto, vedo 3 volte il Duomo ma non capisco perché, dovrei riguardare la cartina.
Inizio ad ansimare, intanto i pacer mi hanno abbandonato dal 35 e sono avanti.
Io penso che dopo il 35 manca molto, ma molto meno di 10km e quindi è fatta.
Intanto la caffeina si fa sentire.
A 4 km dalla fine sento le voci degli amici, ma sono troppo stanco e 4km mi sembrano interminabili.
Al 40° decido che ne ho ancora e che posso fare lo sparo.
Vedo solo i lastroni della pavimentazione e la gente che inizio a superare, sento la gente intorno urlare.
Negli ultimi 2km ci sono i cadaveri e io non sono uno di loro.
Io non ho mai camminato, se non per andare in bagno.
Le locomotive ripartono, supero tutto e tutti, sono un cazzo keniota, starò andando sotto i 5' al km, in realtà erano più di 5:30 ma gli altri
erano fermi e io sembravo il Frecciarossa.
A 500m dalla fine sento Antonella che incoraggia i pochi superstiti del gruppo 4h15', mentre il blateratore pare abbia problemi.
Ero contento, non so perché ma gli stava bene!
Supero anche loro in Piazza della Signoria, peccato non essermi goduto una delle piazze più belle del mondo, li lascio dietro di almeno 15/20
secondi.
Sono ritornato al punto di partenza ma adesso mancano solo 200m e non più 42,2km! C'è un altro che fa lo sparo, siamo in due ad
evitare i cadaveri.
Vedo solo cadaveri e lastroni, lastroni e cadaveri.
Arrivo e arrivo in volata, ho il tempo di togliermi la "cuffia" e quella faccia da cazzo da "modalità sofferenza".
Ora sì che posso piangere e lo faccio! Non piango per l'impresa, non piango per la fatica che ho fatto nelle ultime 4 ore,
piango per la fatica che ho fatto per arrivare a Firenze, piango perché la prossima maratona la faccio perché tutta questa
fatica ne è valsa la pena.
Ma piango poco perché mi fermo e le forze piano, piano tornano e con loro anche il pudore, il pudore di non farsi vedere debole.
Questa è la fine della mia prima maratona, è ancora troppo fresco il ricordo per capire cosa sia successo.
Non credo sia un successo in assoluto ma lo è assolutamente per me.
I primi 27km sono noiosi, gli ultimi 15 sono meravigliosi... ma solo quando li hai finiti!
Grazie a chi mi ha sostenuto e chi ha sopportato le mie assenze (comprese quelle che ci saranno in preparazione della prossima
avventura) e grazie alla corsa che inaspettatamente, dopo anni di fatiche, mi restituisce una consapevolezza di me stesso
diversa: detto questo sono sempre un cinghiale ma da adesso anche un maratoneta!

Cartoline d'alta quota


La racing green fa figo. E si abbina da dio ai colori delle montagna. Lo sanno bene sia Davide che Nevio (un bel po' controluce per poter apprezzare il tono "racing" del "green", ma fidati, è lei), che terminate le loro fatiche d'alta quota, la tirano fuori dallo dallo zaino, ci si fanno una foto e me la mandano. Facendomi fare un gran sorriso, di quelli che non mi commuovo, no, perché no, dai, non è che mi commuovo se vedo un amico con su la racing green, però mi fa un sacco piacere. Davvero. E mi dà modo di ritornare qui, sul blog, ché le loro cartoline d'alta quota meritano un post. 
Meritano di rimanere tra le cose belle che, negli anni, in tanti abbiamo scritto qui. Che non so se posso usare il plurale anche per il futuro, non so se continueremo o continuerò, ma, l'ho detto, magari non con la stessa frequenza di una volta, quando la maglia dei Podisti Anonimi era l'unica con cui correvo, ma io, qui, sul blog, io, qui, continuerò a scriverci. Senza nessuna periodicità, che non mi ricordo se alla fine l'ho scritto, ma una volta, qui, sul blog, c'era una rubrica che si chiamava BOLLETTINO SNP e un gioco che consisteva nell'indovinare cosa volesse dire l'acronimo SNP. Ecco. Senza. Nessuna. Periodicità.
(Comunque no, nessuno aveva scomposto l'acronimo. E di spillette non ce ne sono più.)

Cose dell'altro mondo

E poi succede che vai in Thailandia con tua moglie a festeggiare i 25 anni di matrimonio e, una volta definito il dove e il quando, il quadro è finalmente chiaro per dedicarsi alla ricerca di qualche gara in quel paio di domeniche che passerai tra Bangkok e Koh Samui. Ne trovi (qui) diverse a Bangkok, scegli la più vicina all’hotel in cui alloggi e ti iscrivi. A Samui ce n’è una sola e non hai l’imbarazzo della scelta.
Torni a casa, dopo due settimane, con i soliti gadget in poliestere, un’inaspettata coppa, l’amaro in bocca per non essere riuscito ad aggiungerne una seconda, e qualche nuova emozione.

A Bangkok, date le temperature, la partenza della TPA Charity Run for the Blind 2018 è fissata per le ore 06:00 AM. Dovendo perfezionare l’iscrizione e assalito dalla solita ansia del non svegliarmi in tempo, mi alzo dal letto alle 03:30. Arrivo a Lumpini Park un’ora dopo, ritiro maglia e pettorale e ho un’altra ora da far passare prima della partenza. Giro per un paio di chilometri più per passare il tempo che per (sur)riscaldarmi. Bevo per mettere qualcosa nello stomaco. Il termometro dice già 27 gradi.
Qualche centinaio di metri dopo la partenza, conto 5 persone davanti a me. Il ritmo del primo è intorno ai 4’/Km, gli sto distante qualche secondo. Il gruppo di testa rimane compatto fino al secondo chilometro, dopodiché assisto stupito all'improvvisa sublimazione dei concorrenti che mi precedevano. Vado in testa. Problema: non parlo né leggo il tailandese. Il 99% dei tailandesi non parla inglese. Non so dove andare. Mi accodo al secondo, che nel frattempo diventa primo, e gli sto dietro/accanto per circa 6 chilometri. Provo a chiacchierare, ma non c’è modo di comunicare. A un paio di Km dalla fine, capìto che il percorso si svolge lungo quella riga arancione che divide la strada, alzo il ritmo e me ne vado solitario verso il traguardo. 46’30” sono sufficienti per vincere una Thaipasciata© di 10 Km. Almeno quel giorno, in quel posto.

Le cose non vanno esattamente così a Samui, dove di minuti ce ne ho impiegati 3 in meno, ma dove il livello della competizione era decisamente più elevato. Chiudo sesto, a 3 centesimi dal podio di categoria (18-49), in una corsa anch’essa programmata a un orario piuttosto insolito (mezzanotte) e con una temperatura addirittura più elevata che nella prima circostanza (stavolta 29 gradi).




Faccio la tara a queste due gare e tengo buone le emozioni. I sorrisi e l’entusiasmo dei tanti partecipanti a due manifestazioni precedute dal prefisso “charity”. E se anche tutto questo non ha nessun contenuto tecnico, e non lo ha, uno spazio per la coppa, sulla libreria di casa, l’ho trovato. Rimangono anche delle foto e un paio di video.
I tailandesi vanno piano, ma sanno divertirsi. E han fatto divertire pure me.


Ricominciamo!



Questa foto dell’arrivo racconta la mia partenza, anzi la mia ri-partenza!
Eccomi lì: esausto, sporco, bagnato fradicio, sovrappeso, ma sorridente, decisamente sorridente! Eh si il sorriso! E’ quello il segreto: il sorriso!
L’anno scorso ho smesso di correre per pigrizia, per stanchezza, per mancanza di tempo, ma soprattutto perché mi ero dimenticato che correre è divertente! E ho ripreso… pian pianino, poche uscite a settimana, pochi chilometri, poi qualcosina in più, poi ancora un pochino e poi ho ricominciato a divertirmi! A quel punto, per un ritorno in piena regola mancava solo la tapasciata! Ma mica solo la corsa… Tutto il rituale della tapasciata: la sveglia alle 7, l’ansietta, la colazione leggera, la vestizione a strati, il cambio di orologio (no, quello no, il Tom Tom mi sono dimenticato di metterlo, maledizione!), il ritrovo davanti al mercatino con Andrea, il pezzo in macchina a chiacchierare di musica, di politica, di libri e di tempi, di minuti al chilometro (che figata parlare in minuti al chilometro, è una roba da membri di un club esclusivo… nessuno che non corra ti capisce quando ragioni in minuti al chilometro!). E poi arrivi all’Arena (figo ricominciare dall’Arena!), vedi tutti quei matti come te che alle 8, sotto il diluvio universale, sono lì, colorati, assonnati ma col sorriso (ancora lui!), che parlano di tempi, di minuti al chilometro, di corse fatte e di corse da fare… E poi ancora riti, sequenze ripetute che ti danno la certezza di essere tornato: il ritiro del pettorale dai miei amici dell’Ortica, il deposito borse, il pettorale messo su con le spilline, il riscaldamento, la foto di gruppo con Andrea e il Cinghio, il Cinghio… Il Cinghio prima lo tenevo dietro (di poco…), adesso il Cinghio lo vedo solo per la foto… Grande Cinghio! E poi… poi il posizionamento in partenza, l’ansietta, la calca, le ultime previsioni, il gps da far partire (per chi ce l’ha, io mi sono arrangiato con Runkeeper sul cellulare…), poi il conto alla rovescia e lo sparo! E via “vai Massi!” si corre, col sorriso!
Niente cronaca della corsa, oggi non è essenziale… L’essenziale è che ho ricominciato e che mi sono divertito!  
P.S. per la cronaca: sono arrivato tra il sesto e il settimo della categoria SM70… che uno dice: “cosa c… c’avrai da sorridere?”

Trofeo Sempione Ciovasso 2018

A un certo punto mi sono chiesto se, in condizioni normali, sarei riuscito a tenere il ritmo che mi ero prefisso. I soliti (per ambizione, non abitudine) 4'/Km sul 10000. Se, concretamente, sarei stato in grado di chiudere almeno allo stesso (buon) tempo dello scorso anno
Non potendo trovare risposta, ho deciso di provare a correre almeno l’ultimo chilometro, discretamente pulito e senza escursioni nel fango, al mio passo migliore. Quello che avrei provato a tenere se la prima prova del Corrimilano 2018 non fosse stata trasformata da una settimana d’acqua in una campestre tout court. E sì, 4’00”70. 

Correre l'edizione 2018 del Trofeo Sempione Ciovasso non è stata solo un’occasione per rivedere Massi (#daicazzo, Massi!), il Cinghio e i tanti compagni di corse. Un piccolo sorriso, quest’ultimo chilometro, me l’ha regalato. E anche il secondo giro del percorso, in vero, che ho corso qualche secondo più veloce del primo. Ché lo split negativo ha sempre il suo perché.
Il tempo (atmosferico) continua a non darmi modo di misurare i risultati della preparazione invernale, e, per avere un riscontro dovrò attendere un mese ancora, circa: il 7 aprile torno a correre il Miglio, a Voghera, e la settimana successiva è Rundonato. In condizioni climatiche favorevoli o comunque non condizionanti, finalmente dovrei riuscire a capire qualcosa di più di questo inizio d’anno. Così, giusto per.

E comunque, in pausa pranzo sono andato in piscina a chiedere come funziona col nuoto libero. Sveglia presto pure il mercoledì mattina, da aprile.

Tutto secondo le previsioni (del tempo)

Ha vinto il vento. Ha vinto la neve. Ho chiuso la Mezza di Fontanellato in 1h35’08”, 4 minuti più che alla Mezza di Vittuone, corsa solo due settimane prima. 7 minuti oltre il mio obiettivo. 105mo su 553 classificati, 22mo su 103 della categoria SM45. Nel primo quartile di entrambe le classifiche, cosa che, in sé, normalmente mi gratifica. Non in questo caso, però.

Nonostante abbia avuto, sin dai primissimi metri, delle enormi difficoltà a respirare, sono passato al quinto Km con 10 secondi di vantaggio sulla tabella di marcia (20’40”) e al decimo con soli 6 di ritardo (41’46”). Sapevo, mentre combattevo contro il vento e la neve ghiacciata, che entro breve avrei pagato a caro prezzo lo sforzo che stavo facendo, ma ho puntato la sveglia presto per provarci. Per provare a fare ciò che ho preparato per tutto l’inverno, non per ritirare la medaglia e mangiare gnocco fritto e mortadella a Fontanellato. 
Il conto è arrivato prestissimo, al Km 11: 4’29”, che ho bissato al successivo. Dopodiché ho smesso di guardare i parziali, mi avrebbero frustrato, niente di più. Mi sono trascinato fino al traguardo con un chilometro “corso” addirittura a 5’20”. L’ultimo, mosso da non so cosa, “solo” in 4’34”. 

Spiace anche per il mio amico Mauri, che pure questa volta ha voluto essere con me nella trasferta di Salsomaggiore Terme e al quale vorrei regalare un arrivo col sorriso invece che la maglietta del pacco gara e niente più. Spero ci possano essere altre occasioni, Mauri.

Chiusa la parentesi della Mezza d’inizio anno, si apre quella della Maratona autunnale: devo capire se la schiena me lo permetterà e poi scegliere dove. Prima di tutto, devo iniziare a nuotare. Perché non può essere un caso il fatto che i miei risultati migliori su lunghe distanze si siano concretizzati nell’unico momento in cui ho abbinato il nuoto alla corsa. Per il resto, a seconda delle necessità, sarò mezzofondista oppure fotografo a tutte le prove del Club del Miglio e, senza garantire sulla frequenza, correrò delle prove del Corrimilano. Dovrebbe esserci un intermezzo orientale, dopo quello agreste. Spero di poterne raccontare.

Il cielo sopra Salsomaggiore Terme

L’augurio di Fulvio arriva dall’Emilia ed è scritto nella neve, la stessa neve di cui parla, oggi, il cielo di Salsomaggiore Terme e che  è annunciata, per domenica, dalle previsioni del tempo. Probabilità nell'ordine dell'80-90%.
La temperatura percepita, dicono i signori dell’Aeronautica Militare, sarà di -14 (meno quattordici) durante quell’ora e mezza (spero scarsa, ma mi sa abbondante) di gara. Il vento non mancherà e soffierà in senso contrario. Raffiche a 45 km/h.
Fulvio, nel messaggio allegato all'immagine, aggiunge che nonostante tutto, sarà un successo: io ci credo poco, ma ci provo lo stesso. (però fanculo, passi un inverno a prepararti per questa Mezza e poi guarda in che condizioni ti trovi a correrla.)


Intermezzo agreste

E quando non ti rimane che ripetere a mo’ di mantra che lo scarico farà il resto e che ora devi solo pensare a preservare le gambe e la schiena, puntuale arriva il precetto per l’ultima prova del Trofeo Monga. Il presidente vuole (ovviamente, giustamente, ecceteramente) vincere, dobbiamo mettere in campo tutte le risorse possibili. Comprese le mie. E io, io che una campestre non l’ho mai corsa perché l’unica volta che ho provato a correre sull’erba per preservare il tendine d’Achille mi sono ritrovato con la bandelletta ileo tibiale destra in fiamme, io che ogni volta che corro quei quindici metri di single track in discesa che dal Viale Forlanini mi riportano dentro il parco ho paura di girarmi la caviglia, io che non ho scarpe adatte a correre una campestre e che non è che me le vado a comprare per magari usarle una sola volta, io che volevo farmi un fontanella-fontanella tranquillo, domenica, giusto per tenere i muscoli sciolti, io, domenica, a Castiglione d’Adda, ho corso la mia prima campestre. Che l’idea di correre una campestre mi piaceva anche, dal momento che la campestre era la specialità di mio padre, ma l’esperimento avrei voluto farlo un giorno diverso dalla domenica prima di correre la Mezza (di Fontanellato) per la quale mi sono preparato per tutto l’inverno. 
Alla fine è andato tutto per il meglio: il fondo non era fangoso e nemmeno particolarmente pesante, le scarpe e la schiena hanno tenuto alla perfezione. E abbiamo pure vinto il Trofeo (maschile). Io ho finito nella metà di sinistra della classifica, di più non potevo chiedere.
Mercoledì sgambo per l’ultima volta, l’obiettivo per domenica è finire con un tempo medio di 4’10/Km, che dovrebbe farmi chiudere intorno all’1h28’. Questo è ciò che realmente vorrei. Saprei accontentarmi anche di stare sotto il mio personale di 1h29’13" e, per come sto atleticamente, già quello potrebbe essere un ottimo risultato. Ma non parto per accontentarmi. No. Voglio correre a tutta fin sopra il tappeto. Perché, come diceva Ivan prima che quel muro venisse tirato giù, è quando ce la fai d'un soffio che ti manca il respiro.


Libri di storia e quaderni di matematica

C’è chi finisce sui libri di storia e chi, è il mio caso, sui quaderni di matematica dei bambini delle scuole elementari. Grazie a Cristina, maestra di scuola primaria e, a tempo perso, moglie di Fabrizio, Podista Anonimo della prima ora. E grazie a Franco Vimercati, maratoneta azzurro d’altri tempi e amico di chiacchiere sulla corsa, che ci ha lasciato nel 2017. E alla cui memoria è dedicato questo post.

Franco, un giorno di qualche anno fa, forse alla partenza di una tapasciata nel lecchese oppure tra i vialetti del campeggio dove eravamo soliti incontrarci, non ricordo bene dove ma non ha grande importanza, Franco, un giorno mi disse: crostata a colazione e, la settimana prima della Maratona, pasta a pranzo e cena. Spaghetti, se riesci, che sono più digeribili. Ah, e se non ti da problemi di stomaco, beviti un caffè una quindicina di minuti prima della partenza. Non è doping, ti aiuta. Dei consigli del Franco ho sempre fatto tesoro. E da anni, con costanza 9 su una scala a 10, preparo crostate. Le preparo io perché non vado d’accordo col latte. Al posto del burro metto la margarina. (se ti aspetti un tutorial per preparare una crostata con margarina, semi di chia e zenzero hai sbagliato sito. Ma se ne sei proprio interessato, chiedimelo nei commenti e ti darò soddisfazione. E’ tutto molto semplice. E ti porta via, quando avrai preso la mano, non più di un quarto d’ora.)

Non posso negare che da queste parti ci sono passato perché mi piaceva tanto scrivere un post con la frase con cui questo post l’ho iniziato. Perché mi andava di pubblicare le foto che mi ha fatto avere Cristina. E perché mi andava di parlare, seppur brevemente, di Franco. Potrei chiudere qui, ma ne approfitto per riempire il vuoto che dal Palio dell’Ortica 2017 arriva fino a qualche giorno fa. Che a dirla così sembra niente, ma sono passati 8 mesi. 8 mesi in cui ogni passo è stato condizionato dalla paura che l’ernia mi imponga di fermarmi per l’ennesima volta o che, addirittura, mi consigli con le cattive di dedicarmi ad altro. Non è un bel modo per correre, ma è l’unico che ho. Cerco di essere sempre molto vigile e di non lasciarmi prendere la mano. In un modo o in un altro, per il momento funziona. 

Dopo il Palio dell’Ortica 2017, corro un pessimo Miglio a Castiglione d’Adda e una triste 10 Km del Parco Nord, poi, finalmente, la pausa estiva dei due circuiti a cui ho partecipato nel 2017 (terzo di categoria al Club del Miglio) mi dà la possibilità di abbozzare del riposo con continuità. Se due settimane si possono chiamare continuità. La speranza è che la schiena smetta di scaricare il proprio disagio sul polpaccio destro, anche grazie all'aiuto dalle sapienti mani(polazioni) di Ilaria. Il giorno del mio compleanno mi regalo un primo allenamento, le cose sembrano migliorare. A metà luglio ci attacco un 800 al Meeting Interregionale di Mezzofondo, così, senza senso per come sto, ma mi andava. Una gara tutta in salita durante le vacanze, a Castellabate, e poi solo allenamenti fino al primo Corrimilano, all'inizio di settembre. 

L’abbaglio di poter fare bene ai Campionati Italiani su strada a Dalmine (corsi in maniera del tutto insensata) e una costante mediocrità che non mi dà soddisfazione sono pugnalate al mio morale. Non riesco a trovare continuità negli allenamenti, se forzo esplode il dolore alla schiena. Continuo a dover rimandare i lunghi domenicali e, Garmin Connect alla mano (a proposito di Garmin, il vecchio Mino non ce la faceva più e, a Natale, mi sono regalato Tino), preparo la Mezza di Vittuone dopo aver corso solo 6 volte per 17 Km e una sola volta per 21. La carico di aspettative senza che sia lecito averne, specie perché il dolore è ritornato e mi son dovuto fermare nuovamente, nelle settimane che l’hanno preceduta. A Vittuone, domenica, dove c'era pure il Cinghio, le cose sono andate discretamente, alla fine: speravo meglio, ma m’accontento dell’ora e trenta con cui ho chiuso. Vittuone doveva essere una tappa d’avvicinamento a Salsomaggiore e i due minuti di troppo rispetto al tempo che sognavo di fare potrebbero non essere impossibili da limare. Ci proverò, come ci ho sempre provato. Nella speranza che ci siano i presupposti fisici e ambientali per poter far bene.
Ne riparliamo presto. È una promessa.