Dall'attimo in cui sono riuscito a intravvedere il tendone dove fare l'iscrizione, da quel momento mi sono sentito crescere dentro un no enorme, di quelli con tante o, un no con tante o che dici e pensi, le o, intendo, ma non le scrivi, tutte quelle o, perché la lingua ha le sue regole e il correttore ortografico è un baluardo che merita consenso. E poi me lo immagino, all'ultima o di quel no enorme sarà seguito un madonna e qualcos'altro. Magari l'ho pure qualificata con un aggettivo forte, la madonna. Forse, addirittura, ne ho usato più d'uno. Ma questo non lo ricordo con precisione. Ricordo bene, questo eccome se lo ricordo, che in quel momento mi son tornate in mente le parole di Aldo Atomik Flea, ché lui me l'aveva detto che ci sarebbero state moltissime persone a Carate e che era il caso di andare al Maxisport a fare l'iscrizione il giorno prima. Ma io al Maxisport più vicino, quello di Lissone, vicino solo, si fa per dire, 27 Km da casa, io fino a lì non c'avevo mica voglia di andare, il sabato prima. E quindi ho scelto di svegliarmi molto presto, il giorno della corsa, e incrociare le dita.
Alla fine ha funzionato, ché la gente davanti al tendone per l'iscrizione era sì tanta, ma lì a chiacchierare o in altro affaccendata. Però la visione di quell'orda di podisti dall'alto della collinetta e la paura di dover passare troppo tempo in coda con la carogna dell'Aldo sulla spalla a ricordarmi che te l'avevo detto io, quel paciugo di brutte sensazioni m'ha rovinato un momento bello. Perché poco prima di arrivare al tendone mi son sentito preso per un braccio, mi son girato e un tizio mi ha detto ciao. Anch'io gli ho detto ciao, che pure nel dubbio un ciao non sono solito rifiutarlo. Ma il mio ciao era di quelli che capisci subito che qualcosa non ti torna. Lui, evidentemente sveglio il giusto per capire, mi dice che mi conosce e, sulla scorta del mio sguardo tra il basito e l'interrogativo, continua. Mi dice che lui mi conosce, però, in effetti, noi non ci conosciamo.
Lui mi conosce però (in effetti) noi non ci conosciamo. Questa è roba da quesito della Susy.
Sì, non ci conosciamo, continua, ma ti vedo sempre correre al Forlanini. Vero? Cazzo, vero, penso io. E cosa ci fai, qui? (a oltre 30 chilometri dal Forlanini), rispondo. Io ci abito, qui, dice il podista brianzolo. E tu, anche tu abiti da queste parti? No, io abito dalle parti del Forlanini. Balbetto qualcosa che suona tipo ma scusa, tu abiti qui (a 30 Km di distanza) e alle 6 del mattino, che è ancora buio e non ci sono in giro manco le nutrie, alle 6 vai a correre al Forlanini? Lui mi toglie dall'imbarazzo dicendo che lavora lì vicino e che corre prima di iniziare il turno. Mito assoluto, penso.
Continuo ad avere negli occhi l'immagine della marea di gente che immagino davanti a me nella coda e lo rimando a più tardi, lungo il percorso. Oppure, alla peggio, al Forlanini. Lo liquido, insomma. E me dispiaccio terribilmente. La paura fa fare grandi errori, errori che spero di poter arrangiare già alla prossima uscita. Con una spilletta o con qualche chilometro insieme.
La corsa: bella, con qualche tratto del percorso à la Jackass e condito con discese sui sassi bagnati dei boschi della Brianza e salite su gradini alti fino a metà tibia che non puoi far altro che camminare. Arrancare. Bella, da fare attenzione alle caviglie, ma bella. Nel vero spirito della Tapasciata. Arricchita da musicisti che suonavano lungo il percorso e dagli innumerevoli Over 70 per i quali la mia stima sarà sempre massima anche se, spesso, nei passaggi più complessi, tipo ponticelli senza balaustre o binari con fango da una parte e pure dall'altra, son lì in mezzo ai piedi che ti devi fermare per non travolgerli. Io li amo quei vecchi lì. Vorrei essere come loro, alla loro età, vorrei avere ancora la loro stessa passione per la corsa e la forza nelle gambe per alimentarla. Non scherzo.
E poi, vero motivo che mi ha spinto fin lassù quando potevo tapasciare comodamente a Peschiera de dre al castel, Aldo e Daniele. Aldo è amico di vita, Daniele un suo compagno di scuderia con il quale abbiamo corso insieme (insieme si fa per dire, già che quando decide di correre non lo vedi più) l'edizione 2013 della Stradesio. Grazie perlopiù ad Aldo, non abbiamo smesso un solo attimo di parlare, neanche quando la salita tirava forte: ci siamo rodati col tema corsa e, passando per l'elenco dei nomi di paesi al participio passato (Carate non per ultimo) di cui è piena la Lombardia, siamo arrivati fino a vette inimmaginabili (per una gara podistica) quali le stock option e articoli assortiti della Costituzione. Di figa non s'è parlato. Ed è davvero strano quando c'è di mezzo l'Aldo.
La Kirghisia, infine. Per qualcuno, specie il nostro amico (comune a me e Aldo) Omar, la Kirghisia è stata un sogno a occhi aperti. Il sogno nobile di un mondo migliore, dove... in ogni settore, pubblico e privato, non si lavora più di tre ore al giorno, a pieno stipendio, con la riserva di un'eventuale ora di straordinario. Le rimanenti 20 o 21 ore della giornata vengono dedicate al sonno, al cibo, alla creatività, all'amore, alla vita, a se stessi, ai propri figli e ai propri simili..." (prima lettera dalla Kirghisia).
Io non so se un giorno smetterò di essere un podista anonimo, libero, non tesserato. Nel caso, tra le primissime opzioni, non importa se le Tartarughe della Kirghisia sono di base a decine di chilometri da casa mia, io, dovendo scegliere un gruppo sportivo, probabilmente sceglierò quello. Sicuramente, vestirei con orgoglio quella maglia. Condividendo, magari anche con Omar, una volta un atleta e domani chissà, un sogno che non si realizzerà mai. Un sogno che, in ragione di questo, sarà per sempre.
Alla fine ha funzionato, ché la gente davanti al tendone per l'iscrizione era sì tanta, ma lì a chiacchierare o in altro affaccendata. Però la visione di quell'orda di podisti dall'alto della collinetta e la paura di dover passare troppo tempo in coda con la carogna dell'Aldo sulla spalla a ricordarmi che te l'avevo detto io, quel paciugo di brutte sensazioni m'ha rovinato un momento bello. Perché poco prima di arrivare al tendone mi son sentito preso per un braccio, mi son girato e un tizio mi ha detto ciao. Anch'io gli ho detto ciao, che pure nel dubbio un ciao non sono solito rifiutarlo. Ma il mio ciao era di quelli che capisci subito che qualcosa non ti torna. Lui, evidentemente sveglio il giusto per capire, mi dice che mi conosce e, sulla scorta del mio sguardo tra il basito e l'interrogativo, continua. Mi dice che lui mi conosce, però, in effetti, noi non ci conosciamo.
Lui mi conosce però (in effetti) noi non ci conosciamo. Questa è roba da quesito della Susy.
Sì, non ci conosciamo, continua, ma ti vedo sempre correre al Forlanini. Vero? Cazzo, vero, penso io. E cosa ci fai, qui? (a oltre 30 chilometri dal Forlanini), rispondo. Io ci abito, qui, dice il podista brianzolo. E tu, anche tu abiti da queste parti? No, io abito dalle parti del Forlanini. Balbetto qualcosa che suona tipo ma scusa, tu abiti qui (a 30 Km di distanza) e alle 6 del mattino, che è ancora buio e non ci sono in giro manco le nutrie, alle 6 vai a correre al Forlanini? Lui mi toglie dall'imbarazzo dicendo che lavora lì vicino e che corre prima di iniziare il turno. Mito assoluto, penso.
Continuo ad avere negli occhi l'immagine della marea di gente che immagino davanti a me nella coda e lo rimando a più tardi, lungo il percorso. Oppure, alla peggio, al Forlanini. Lo liquido, insomma. E me dispiaccio terribilmente. La paura fa fare grandi errori, errori che spero di poter arrangiare già alla prossima uscita. Con una spilletta o con qualche chilometro insieme.
La corsa: bella, con qualche tratto del percorso à la Jackass e condito con discese sui sassi bagnati dei boschi della Brianza e salite su gradini alti fino a metà tibia che non puoi far altro che camminare. Arrancare. Bella, da fare attenzione alle caviglie, ma bella. Nel vero spirito della Tapasciata. Arricchita da musicisti che suonavano lungo il percorso e dagli innumerevoli Over 70 per i quali la mia stima sarà sempre massima anche se, spesso, nei passaggi più complessi, tipo ponticelli senza balaustre o binari con fango da una parte e pure dall'altra, son lì in mezzo ai piedi che ti devi fermare per non travolgerli. Io li amo quei vecchi lì. Vorrei essere come loro, alla loro età, vorrei avere ancora la loro stessa passione per la corsa e la forza nelle gambe per alimentarla. Non scherzo.
Io non so se un giorno smetterò di essere un podista anonimo, libero, non tesserato. Nel caso, tra le primissime opzioni, non importa se le Tartarughe della Kirghisia sono di base a decine di chilometri da casa mia, io, dovendo scegliere un gruppo sportivo, probabilmente sceglierò quello. Sicuramente, vestirei con orgoglio quella maglia. Condividendo, magari anche con Omar, una volta un atleta e domani chissà, un sogno che non si realizzerà mai. Un sogno che, in ragione di questo, sarà per sempre.
Viva i podisti anonimi, Viva la Kirghisia!
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