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Il teorema delle ripetute

Quando vai veloce, vai più veloce di quanto vai lento quando vai lento.

Sudore, fatica e solitudine, ora che la schiena di Guido ha detto basta. Ossigeno sufficiente solo a far muovere le gambe, poca lucidità. Pensieri strampalati, teoremi retti da fondamenta ancora troppo instabili per avere l'autorevolezza del teorico. Ma cose che succedono e forse non per caso, pensieri che mi va di condividere.

Quando vai veloce, vai più veloce di quanto vai lento quando vai lento sta per: quando fai le ripetute, le frazioni veloci le corri più veloci di quanto non siano lente le frazioni lente. E questo perché, con l'allenamento, la capacità di correre veloce aumenta progressivamente, così come l'abitudine a non andare lento più di tanto. Niente di nuovo, lo so, ma non è tutto: c'è di mezzo una componente mentale non indifferente, elemento cardine del discorso.
Quando corri veloce sai che devi dare il meglio di te per un lasso di tempo/spazio circoscritto, finito il quale c'è il recupero. L'orizzonte è sempre piuttosto vicino. Quando recuperi, sfrutti l'abbrivio dato dalla frazione veloce e non fatichi oltremodo a tenere un passo abbastanza sostenuto ma comunque sostenibile.
In questa alternanza di veloce e lento sprechi molte meno energie mentali rispetto a quando decidi di tenere un ritmo tendenzialmente alto in maniera costante. Il tempo medio finale, secondo la mia esperienza - che è l'esperienza di un amatore da 50 Km la settimana iniziato alla passione da meno di un anno - ne beneficia. Fino a che si tratta di percorrenze di medio raggio (mezza maratona), il teorema, per quella che è la mia condizione attuale, ha un senso.

Qui in basso c'è il recap di una sessione di allenamento che, al momento di allacciare le scarpe, prevedeva 6 ripetute da 1 Km e del contorno senza pretese. Ma su suggerimento di Gabriella, si è trasformata, con un allungo finale e senza ricorrere alla mela magica, nel mio tempo migliore sulla distanza.

E' solo un caso?
Oggi penso di no. Domani chissà.

La Mezza di Bucci


Roberto, la chiacchiera pre gara con i due alfieri del Club del Mesdì di cui non ricordo mai il nome, rivedere Laura dopo almeno 10 anni e scoprirla podista (con tanto di gonnella), gli insetti che ho mangiato sputato respirato tossito, gli insetti che hanno mangiato me, la partenza tutti e 950 insieme, AndòCorri che immortala l'ennesima mossa, la banana a un ristoro intermedio e le banane al ristoro finale, i bimbi che ti danno il cinque e i genitori che applaudono, la banda, il desiderio ignorante di un tempo che non è nemmeno il momento di immaginare possibile.

(notare che in questo post, che più che un post pare un elenco di hashtag senza hash ne tag e comunque figlio di una settimana in cui di più al blog non ho potuto proprio dedicare, in questo post, dicevo, non sono andato a capo nemmeno una volta.) 

Marcia del Capercio - Il primo degli ultimi


Primo degli ultimi.
Meglio che secondo
terzo
oppure quarto.
E giù fino al sedicesimo,
l'ultimo degli ultimi.
L'ultimo dei liberi,
i non affiliati ad alcun gruppo sportivo.
Primo degli ultimi,
podisti che non dovrebbero figurare
nella classifica di una gara agonistica,
gocce di sudore invisibile
scese da fronti invisibili
di atleti invisibili
ed evaporate senza lasciar traccia
sul lastricato di Arcidosso.

Ma anche sesto nella mia categoria d'età
su 24 tra invisibili e non.
Cinquantunesimo assoluto su 168 classificati.
Per sbaglio oppure no.

(Lo so che ti stai chiedendo
ma perché vai sempre a capo, Lofa?
e io ovvio che te lo dico perché.
Vado sempre a capo
perché ho appena letto questo libro
di GUIDO CATALANO
e mi son fatto prendere
da un qualcosa che non so cosa
ma che potrebbe sembrare qualcosa che
ha a che fare con l'emulazione.
Forse.
Io preferisco pensare
che è più una giocosa sperimentazione
che emulazione,
al limite una disinteressata marchetta.
Ma non ha nessuna importanza
quello che penso io
o quello che pensi tu.
Questo post è scritto così.

Guido Catalano,
come Montale d'altronde,
è uno che va un sacco a capo.
Anzi,
di se dice
che va a capo a cazzo.
E,
in effetti,
cazzo se va a capo.
A me piace l'idea,
una volta tanto,
di andare a capo a cazzo.
Cazzo se mi piace.
E mi piace anche l'idea
che magari clicchi sul link più in alto,
quello col nome e il cognome in MAIUSCOLO
e impari a conoscerlo,
se già non t'è capitato,
Guido Catalano.
Guarda,
se leggi questa,
è amore a prima vista.
A me è successo così.)

La Marcia del Capercio.
Bella.
Mi son divertito.
Da zero a dieci
mi sono divertito sette.
Sette.
Come i primi sette chilometri,
in cui,
lo so,
ho corso bene.
E' bello quando senti
che stai correndo bene.
Te ne accorgi,
quando corri bene.
Noi Podisti Anonimi
la chiamiamo modalità splendide sensazioni.
Poi la stecca,
la solita stecca del sesto chilometro,
una contrattura che si fa crampo
a uno di quei muscoli della coscia
il cui nome finisce per cipite
ma non ricordo mai
se bi,
tri
o quadri.
Stecca che in questo caso è arrivata al settimo.
Che è stata bella forte,
già che il ritmo era molto alto.
Mi sono spaventato.
Ho pensato di non poter arrivare in fondo.
Ho rallentato,
convinto di recuperare quei dieci metri
che mi separavano per la prima volta
dal gruppo con cui ho corso
quasi tutta la gara.
Ma da dieci,
i metri,
il chilometro dopo,
son diventati venti.

Un chilometro dopo ancora
son diventati trenta.
E all'ultimo chilometro sono diventati troppi.
Ho mollato.
Avrei dovuto stare con loro,
fare uno sforzo,
provarci.
E allora,
forse,
gli ultimi metri
li avrei corsi.
Altro che 6'23” di media
sulla salita finale.


Ma va bene lo stesso.
Sette su dieci.
45'41” per un tutto giù tutto su
a cui non sono proprio abituato.

Un pacco gara strepitoso
(maglia tecnica,
bottiglia di vino con etichetta dell'evento,
mezzo chilo di pasta Barilla,
pacco di biscotti),
e un ristoro tra i più ricchi.

Il Primo degli ultimi.
E un post in cui vado a capo a cazzo.
Certo senza la poetica di Guido Catalano.