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26° Giro dei Fontanili

Una notte insonne. Come capita di frequente, negli ultimi anni, quando so di non potermene permettere che poche, delle note della radiosveglia, prima di infilare i piedi nelle pantofole e decretare l'inizio di un nuovo giorno. Al timore di aver fatto una colazione non adatta a uno sforzo al quale non sono abituato si aggiunge il primo vero freddo di questo autunno travestito da inverno: dieci gradi in meno tra tramonto e alba sono uno schiaffo in faccia che sapevo sarebbe arrivato, ma che non per questo riesco a evitare dopo essermi liberato di tuta e giubbotto.
Mi accorgo che ogni minuto dell'ora di attesa che ci separa dallo sparo dello starter fa lentamente lievitare una tensione che pensavo non avrei avvertito: immaginavo che correre fosse correre a prescindere dal dove e dal con chi. Una tensione che nell'inconscio si nutre di pulmini sponsorizzati, gruppi di podisti vestiti di tutto punto, gente che parla di tempi medi su distanze a due cifre che non sarei in grado di avvicinare nemmeno sul singolo chilometro. Mi sento di non aver diritto di cittadinanza, lì, in mezzo ad atleti che si possono davvero considerare tali. Ho scambiato una gara podistica con oltre un migliaio di partecipanti per la Maggiolata delle scuole elementari. Faccio sempre le cose troppo semplici, io.

E' la mia prima gara, infondo, da che i presupposti per continuare col pallone sono venuti meno. Un minimo di tensione penso ci stia. Una prima gara che, ne sono più che cosciente, ho preparato male. Anzi, che so di non aver preparato affatto: due uscite da dieci chilometri nell'arco di una settimana non possono farmi dimenticare dei tre mesi di pressoché totale inattività.

Spero di poter dare un senso alle parole spese con Guido sul non partire sparati e sull'unica vera ragione che ci ha mossi fino al Centro Sportivo di Vignate: divertirci, cioè, e arrivare al traguardo senza far rivivere nei presenti il ricordo di Dorando Pietri. Ma la gara parte e già al primo chilometro ci accorgiamo di andare troppo veloci rispetto alle nostre abitudini, se di abitudini si può parlare solo dopo un paio di uscite insieme. Rallentiamo, non abbastanza, però, per sentire di aver trovato il nostro solito passo. Dal terzo chilometro in poi ci sentiamo un ostacolo lungo il binario unico di un percorso che non immaginavamo campestre in modo così strettamente letterale, fino al sesto viviamo una sofferenza che non ci saremmo aspettati. Nel momento in cui per ritrovare la nostra autostima saremmo dovuti scendere giù fino a toccare il fondo della Fossa delle Marianne, in quel momento, puntuale, avverto una frase che suona tipo a te sembra correre, questo? Era la vocina, quella della metà infame, quella capace solo di denigrare, di ridere di te? Era lei, banale nel presentarsi nel frangente più scontato, quello in cui non hai forze per opporre resistenza? Oppure quel pettinato con foularino bianco e azzurro che, nel sorpassarci, si stava rivolgendo alla persona affianco? Mi volto, Guido non mi dà l'impressione di aver colto. Forse non c'era nulla da cogliere.
Proseguiamo con un passo apparentemente costante fino al ristoro del decimo chilometro, dopodiché, senza l'esperienza per capirne il perché, prendiamo a correre a velocità che sentivamo appartenerci e che non si potevano dire tali per i concorrenti che sfilavamo con la stessa surplace che prima ci umiliava. Intorno all'undicesimo mi sembra di vedere l'uomo dal capello scolpito a circa un centinaio di metri da noi. E' davvero lui o la rappresentazione della rivincita che ci stiamo prendendo verso noi stessi? E' un umano in carne e ossa o una figura retorica? Incurante della risposta, lo sorpassiamo in scioltezza e, rivolgendomi a Guido, che nel frattempo avevo preparato al siparietto, gli rendo la pariglia. "Guido, ma a te questo sembra correre?": un sorriso da parte del mio compagno e un arrivederci al traguardo a te, scoppiato di un trash talker. Sempre che al traguardo riusciate ad arrivarci.

L'esperienza che ancora non abbiamo ci ha portato a sottovalutare, in corso d'opera, la bontà di quello che stavamo facendo: abbiamo chiuso i 12.700 metri di un percorso davvero pesante in un'ora e otto minuti. Un buon tempo, che ci soddisfa e che, probabilmente, è addirittura al di sopra di qualsiasi lecita aspettativa per chi, come noi, si è improvvisato podista solo negli ultimi mesi. Al netto del fango (oltre il 50% della gara era uno sterrato farcito di pozzanghere), dei sentieri tra i rovi e dei tratti spesi a correre su superfici da vero Cross Country, penso saremmo riusciti a limare addirittura qualcosa.

Il contributo di questo post: se t'imbatti in un uomo tra i trenta e i quaranta, un metro e ottanta circa di altezza, alettone scolpito in testa dal gel e foularino con oscena fantasia azzurra e bianca al collo, ecco, è arrivato il momento di dare il meglio di te. A prescindere dalle indicazioni del tuo pedometro, cardiofrequenzimetro, Gps o derivati.

Data: 28 ottobre 2012
Località: Vignate
Superficie: Mista (sterrato appesantito dalle piogge dei giorni precedenti/asfalto)
Podisti anonimi riconoscibili: Lofa e Guido

2 commenti:

  1. Considero interessante l'approccio zen del modo di porsi verso la corsa, infatti il tentativo di limitare se non proprio eliminare l'uso della strumentazione di misura contribuisce a ridurre il rischio di insorgenza della fastidiosissima ansia da prestazione che a tanti di noi e' purtroppo gia' tristemente nota... Mi rimane pero' un punto che vorrei chiarire: i riconoscimenti di natura enogastronomica che attendono i partecipanti a fine manifestazione non vanno ad annullare i benefici effetti indotti dalla corsa, insomma in altre parole come la mettiamo con colesteloro e glicemia?
    In attesa di una vostra risposta vi saluto e buona corsa a tutti.

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  2. Fabri,
    non abbiamo ancora avuto modo di parlarne, probabilmente, ma devi sapere che io sono intollerante al lattosio e anche Guido, per motivi diversi, non mangia latticini: diciamo che il riconoscimento de Il Giro dei Fontanili non è stato il massimo dell'incentivo, per noi due (devo confessare che qualche pezzettino-ino di caciotta me lo sono mangiato lo stesso), ma la bottiglia di vino per i primi 1000 di Carugate ci sprona eccome.
    Più che altro, mi auguro che al traguardo di Carugate ci accolgano con la stessa libagione di focaccia, pane con marmellata/nutella e té caldo di Vignate: abbuffarsi è stata un'esperienza, e lo dico seriamente, che non avevo mai provato subito dopo uno sforzo importante come lo è stato quello.

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