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L'ultima Maratona. Il primo ritiro.

La marcia di avvicinamento alla Maratona di Milano procedeva bene. Gli allenamenti, ancora 3 settimanali, mi portavano a percorrere poco meno di una cinquantina di chilometri a settimana. Pochi dolori, nell'ordine delle cose. Avevo fiducia.
A inizio gennaio, con cauta progressione (uno massimo due Km in più sul lungo domenicale), ho iniziato a estendere durata e percorrenza e lì ho sentito i primi cedimenti. Ogni uscita, anche le infrasettimanali da 12 Km scarsi, era preceduta dal dubbio. Dalla paura di farmi male. Allenamento oppure logoramento era ormai la domanda ricorrente. Ho capito che non potevo andare avanti in quel modo e, senza voler minimamente prendere in considerazione l'idea di non correre una Maratona nemmeno in questa, di primavera, ho scelto di prendermi un rischio. Di ridurre di 5 settimane il deterioramento fisico e mentale e di iscrivermi alla Maratona delle Terre Verdiane. Era il 30 di gennaio quando, per non avere ripensamenti, ho preso la macchina e sono andato dritto a Fidenza col tesserino e la copia del certificato medico. Cinque settimane di allenamento in meno, meno rischi di farmi male.
Il 30 di gennaio era un sabato. Il giorno dopo sono uscito con 28 km da correre e corsi anche bene, se vogliamo, ma ho poggiato il piede destro sullo spigolo di un sasso e mi sono fatto male. 
Ho anticipato i tempi per preservarmi e il giorno dopo l'iscrizione è successo quello che temevo.
Sono stato fermo una settimana, nella speranza che il dolore all'altezza dell'avampiede si esaurisse, ma niente. Nelle due successive settimane ho scelto di ridurre la percorrenza, perché il Tendine d'Achille destro è il mio tallone d'Achille. Ho scelto di arrivare più o meno sano alla partenza, consapevole che poco più di 30 chilometri alla settimana non sarebbero stati sufficienti per preparare una Maratona. Risoluto a correrla - il Coach dice coraggioso, io coglione - non ho preso in considerazione l'idea di non andare a Salsomaggiore il 28 di febbraio. L'unica cosa avveduta che potessi fare.
Già prima della partenza, sapevo di dover trovare qualcosa che non avevo per portare a compimento la gara. Avevo fiducia. Pensavo che il tempo m'avesse insegnato a comprendere e a gestire i segnali del mio corpo. Contavo su questo, e sull'adrenalina.
Allo sparo, sono andato subito alla ricerca del pacer delle 3 ore 10 minuti. Quello era il passo che ho tenuto agevolmente negli allenamenti. L'ho raggiunto circa al terzo Km. Ho corso in gruppo fino al Km 20, poi un cavalcavia affrontato con molta cautela mi ha portato a staccarmi di una decina di metri. Forse 20, non di più. Avessi forzato per qualche secondo, mi sarei ricongiunto, ma ho scelto di non sprecare inutilmente energie. Ero nei tempi, andava bene. Non facevo granché fatica a tenere quel ritmo e così è stato fino al Km 30. L'attraversamento della rocca Meli Lupi sapevo essere una sorta di spartiacque tra i primi 30 banali chilometri e i 12 che fanno di una corsa la Maratona. Ho sceso gli scalini al passo e ho camminato per una manciata di metri. Mi sono massaggiato i polpacci e ho ripreso. Per poco. Il Tendine d'Achille destro ha iniziato a strillare e il dolore sotto al metatarso si è esteso pure alle dita. L'appoggio era doloroso, anche se sopportabile. Mi sono fermato nuovamente, ho raccolto energie e idee, ma ho rapidamente capito che il mio corpo non voleva più saperne. Se non ci arrivi da solo, te lo faccio capire io. Mi sono seduto su un muretto, affranto ma non ancora vinto. E' una crisi, magari passa. Quando però ho sentito gli occhi chiudersi e la testa cadere senza controllo verso il basso, come sul divano con la TV, lì ho capito che la Maratona delle Terre Verdiane era conclusa. Non potevo più andare avanti. Così come non potevo pensare di camminare una decina di chilometri in quello stato, con la pioggia che raffreddava ulteriormente il mio corpo stanco e sudato. Dovevo trovare una macchina che m'accompagnasse all'arrivo. Dopo il ristoro del Km 34, in lontananza, vedo due auto dell'organizzazione che ne fermano una terza. Capisco che quella è la mia unica speranza. Corro, se quello che ho fatto può essere assimilabile alla corsa, e riesco a raggiungere l'auto prima che parta. Non c'è bisogno di dire agli addetti che mi sento male, lo capiscono da soli. Autorizzano l'automobilista a guidare lungo il percorso e arrivo al palazzetto di Busseto. Incrocio Andrea, col quale avevo chiacchierato mentre ero in gruppo, lui ce l'ha fatta e con tanto di personale. Gli dico del mio ritiro, lo incito per i pochi metri che gli restavano da correre. Arriva il Mauri con la borsa, faccio la doccia senza smettere di tremare.
Ho scritto in più di un'occasione che la Maratona esige rispetto, rispetto che, nei fatti, si declina in preparazione adeguata: nonostante le intenzioni e il grande impegno profuso fino a quel maledetto sasso, ho mancato. Giusto che io abbia pagato.

Preparare una Maratona è cosa impegnativa e lunga: in gioco vi sono variabili che non possiamo controllare, ma anche costanti. La mia costante, nel corso degli ultimi due anni, è la tendenza a farmi male per via di problemi fisici strutturali ai quali forse potrei porre rimedio con pratiche specifiche. Forse. Ma quando sai che dopo tanti sacrifici può comunque capitare un sasso, allora decidi che basta. Accetti i tuoi limiti e il 3h42'55" che dista 13 minuti dal tempo che sognavi di fare quando hai deciso di correre una Maratona. Perdi, manco fosse la prima volta. E, sicuro che di sconfitte ce ne saranno tante altre, continui a giocare. Anche se a un livello più basso. Perché, alla fine, è giocare la cosa che conta.
Giocare e sorridere.

Il tempo di riprendermi e ci vediamo a una delle prossime Mezze.

L'ultima e poi smetto (con le Maratone)(3)

Quelle che ho elencato nel post precedente non vogliono essere scuse. Non lo saranno. Ci provo a prescindere, come piace a me.
La scommessa ignorante per questa Maratona delle Terre Verdiane è qualcosa nell'intorno delle 3 ore 20 minuti. Senz'altro sotto le 3h30', che è l'obiettivo che mi muove dal giorno in cui ho deciso di correre una Maratona. Obiettivo che nelle due precedenti occasioni ho mancato.
Per tagliare il traguardo in quel tempo mi aggregherò al gruppo delle 3h10' e penso di poter reggere i 4'30" al Km per una trentina di chilometri. Poi inizierà la tragedia. Ma se nei restanti 12 chilometri mi troverò a correre, mediamente, anche un minuto al Km più lento, be', calcolatrice alla mano, dovrei chiudere in 3 ore 22 minuti. Va bene anche qualcosa di più.
Idealmente, quando perderò contatto col gruppo, smetterò di guardare il cronometro. Mi farebbe solo del gran male.
I puristi diranno che una Maratona non si corre così e mi trovano d'accordo. I puristi devono però capire che un quarantacinquenne fumatore vinazzato con una caviglia in avanzato stato di artrosi e un legamento rotto non è il prototipo dell'atleta che dovrebbe correre una Maratona con tanto di split negativo. A me piace correre e cerco di impegnarmi il più possibile dal momento in cui metto la scarpette a quando le tolgo. Correrei tutti i giorni se il mio corpo me lo permettesse, ma non posso. E, giusto per dimostrare che l'aggettivo ignorante non è usato a caso, concludo dicendo che gli esercizi di squat e core stability non li faccio perché mi rompono il cazzo. Pure la piscina.
L'ignoranza è felicità.

(segue)

L'ultima e poi smetto (con le Maratone)(2)

E' dal 6 aprile 2014 che aspetto di correre la mia terza Maratona, sarò senza'altro cazzuto quanto il Mauri mi chiede di essere. Ma sono anche cosciente del fatto che essere cazzuto e basta non sarà sufficiente e questo perché in gioco ci sono una serie di variabili che, già prese una a una, avrebbero un impatto non indifferente sulla corsa e sul risultato finale. Figuriamoci se sommate, come, a giudicare dai fatti e dalle previsioni (del tempo), sarà.

La prima: Il 31 gennaio ho appoggiato molto male il piede destro su un sasso lungo lo sterrato dell'Idroscalo: ancora oggi, dopo 25 giorni, mi sembra di avere un chiodo conficcato nell'avampiede. Niente di rotto, probabilmente i tessuti molli dice la Ba. Per evitare che il dolore degenerasse in altro, cosa che normalmente (mi) succede, mi sono fermato una settimana e, nelle due successive, ho ridotto le già poche uscite settimanali a due. Nel mese di febbraio, quindi, ho percorso solamente 101 Km. Poco più di 30 alla settimana. Il Tendine d'Achille non s'è infiammato e la scelta "conservativa", almeno in questo senso, ha funzionato. Ma non ho fondo. Per niente. Dopo i 30, sarà una tragedia. Sanguinosa. Meglio: acidolatticosa (di questi tempi, l'Accademia della Crusca non avrà nulla da eccepire).

La seconda: Il ciclone Golia. Previsti pioggia e vento lungo il percorso. Freddo. Dovrò coprirmi, suderò. E sudando consumerò inutilmente energie.

La terza: (Non entro nei dettagli, ché diventa lunga) Ho un problema agli occhi, che si presenta di tanto in tanto. Di recente s'è presentato e non potrò correre con le lenti a contatto. Dovrò usare gli occhiali. E quando piove, con gli occhiali, è un cazzo di casino. Anche col cappello. Senza dimenticare che i miei occhiali da ragioniere e il cappellino rain di Decathlon sminuiranno l'overall appearance del mio outfit.

La quarta: Bronchite. E' la stagione, d'altronde.

(segue)

L'ultima e poi smetto (con le Maratone)(1)

Ieri sera il Mauri m'ha detto che domenica devi essere concentrato solo sulla corsa. Che domenica non puoi certo pensare alla logistica o ai dettagli di poco conto.
Ieri sera il Mauri m'ha detto che domenica mi ci porta lui, a Salsomaggiore.

Ma Mauri, gli faccio io, dobbiamo partire presto. Il ciclone Golia si abbatterà sull'Italia. La pioggia, il vento, il freddo.
Tranquillo, mi risponde lui, basta che, e lascia che sia io a finire la frase.
Io so cosa il Mauri vuole sentirsi dire. E lui sa che io so. Aggiusto lo sguardo, arriccio il naso, stringo i pugni e li agito all'altezza del bacino mentre, a denti stretti, gli dico che sì, Mauri, cazzuto, Mauri, cazzuto!

(segue)