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La prima volta non si scorda mai...

E’ difficile parlare della corsa senza rischiare di cadere nel retorico. E’ difficile parlare delle sensazioni ed emozioni che ti attraversano prima di correre, durante la corsa e quando poi hai finito di correre.
Ma la cosa bella della corsa è che non occorre essere un campione, non occorre avere nelle gambe e nei polmoni tempi e distanze importanti, per poterti sentire un runner, per essere percorso da quel fiume di sensazioni contraddittorie che ti portano a spasso in una giostra di emozioni.
Non voglio certo dire che non ci sono differenze tra un runner vero, ed un “pivello” come me, ma il fatto di essere tornato a casa la sera col freddo o con la pioggia e aver deciso comunque di cambiarti, metterti le scarpette e uscire…, di aver corso pensando che eri troppo stanco per proseguire, ma non ti sei fermato…, di sentire un dolore al piede, al ginocchio, o alla schiena, decidere di non ascoltarlo, e dopo un po’ scoprire che per miracolo questo è sparito… tornare da una uscita senza più forze, ma col sorriso sulle labbra perché hai sentito delle belle sensazioni, e poi la sera sul divano goderti l’endorfina che nel corpo ti lascia quel senso di benessere e “beatitudine”… se hai provato questo e tante altre emozioni e contraddizioni che la corsa offre, allora non avrebbe senso non sentirti autorizzato a parlarne, o addirittura a scriverne.
Oggi ho avuto il mio battesimo ad una 12 km, ed è stata una esperienza di quelle che non scordi facilmente. Forse rileggendo questo post, è più un pezzo di diario personale, e magari potrebbe non aver senso pubblicarlo qui. Chiedo scusa se è un po’ troppo lungo, ma si tratta delle emozioni e sensazioni legate alla corsa e forse ognuno può in parte riconoscersi soprattutto pensando alle sue prime esperienze.
Lanciando il cuore oltre l’ostacolo, avevo promesso che avrei partecipato a questa corsa, anche se sono ancora alle prese con il cercare di rendermi facili e familiari i 10 Km.
Nelle ultime tre settimane però un brutto mal di schiena non voleva lasciarmi in pace. Tutta colpa e merito del professore che con il suo modo di fare e con il suo entusiasmo mi aveva convinto che correvo con il freno tirato e potevo iniziare ad aumentare la velocità. Durante il giorno mi ascoltavo per capire come stava la schiena, e se la sera sarei potuto uscire, e riuscivo a cambiare idea due o tre volte tra esco e non esco, anche se poi regolarmente uscivo, al limite accorciando il percorso. Il timore che la schiena non mi avrebbe fatto correre come volevo mi ha fatto fare discrete scorpacciate di antinfiammatori e antidolorifici, con rush finale della sera prima della corsa e la mattina a colazione.
Mettere la sveglia alle 6;40 e sentirla, le due cose non sono automaticamente consequenziali, è stata la prima sfida della giornata vinta. Come un ragazzino emozionato, la sera prima mi ero preparato tutto il corredo per la mia avventura, quindi felice di scoprire una giornata fredda ma soleggiata, ho fatto la mia colazione dei campioni, Oki e via.
Ero teso, perché tante volte mi è capitato di uscire con grandi aspettative, e rendermi conto che le gambe proprio non andavano. Avevo paura di poter prendere un ritmo eccessivo che poi magari mi avrebbe fatto scoppiare, o magari di finirla troppo malandato. Per riuscire ad essere più presente e concentrato sulla corsa e sulle mie sensazioni, solo all’ultimo momento ho deciso che avrei corso senza la compagnia dei Doors, che il giorno prima avevo scelto come colonna sonora della mia prima volta.
All’avvicinarsi del fischio di partenza sentivo dentro di me l’adrenalina che iniziava a lavorare, ed io che pian piano iniziavo ad entrare in una bolla. Poi, non so bene chi, ha sparato un colpo di pistola che sembra abbia preso in pieno la bolla nella quale ero entrato, la quale naturalmente è scoppiata, dandomi una spinta in partenza stile Willy il Coyote, tantè che non sapevo bene nemmeno io cosa stesse accadendo. Dopo circa 500 metri, ho realizzato che ero partito ad una velocità che non era la mia, ma semplicemente la spinta della bolla esplosa. Ho guardato l’orologio, dove c’era scritto che stavo andando alla velocità per me siderale di 4,30 al km. Ho realizzato che si stava compiendo il dramma che temevo, partire troppo forte e non finire nemmeno la corsa. Solo a quel punto mi sono ricordato che dietro dovevano esserci i due compagni d’avventura che erano decisamente più forti ed esperti di me, e che li avevo incoscientemente seminati.  Il mio obbiettivo in partenza era quello di cercare di fare più strada possibile insieme a loro, e invece li avevo persi. Gianluca sei un vero cazzone!!! L’istinto è stato di fermarmi, aspettarli e chiedere scusa a tutti, ma invece ho solamente rallentato. E nemmeno tanto, dato che il primo chilometro l’ho chiuso a 5,15, inutile a dirsi il km più veloce di tutta la mia vita podistica. Naturalmente è tutto relativo, ma per uno che non aveva la più pallida idea di quale obiettivo darsi, accettando comunque qualsiasi risultato al di sotto dei 6 al km, la media del primo km era decisamente veloce. In tutto ciò non mi era molto chiaro cosa stesse accadendo. Mi giravo spesso a cercare i miei compagni, che però non arrivavano, e mentre un fiume di gente continuava a superarmi, pensavo di essere riuscito a diminuire la velocità al mio livello di sicurezza, ma il secondo km lo avevo fatto ancora al di sopra delle mie possibilità, 5,19 per la cronaca. Al terzo km finalmente i miei compagni mi hanno raggiunto, e subito ho realizzato che restare insieme a loro sarebbe stata impresa molto complicata. Mi sentivo un emerito cretino per lo sprint iniziale, e veramente mi veniva voglia di chiedere scusa. Nel frattempo, uscendo dalla zona residenziale, abbiamo iniziato ad inoltrarci tra la campagna, passando accanto ad un fantastico castello, almeno così mi han detto. Ho realizzato che si trattava di un bel posto, l’atmosfera era suggestiva, ma io ero troppo concentrato a non perdere per la seconda volta i miei compagni, ma stavolta ero io quello che sarebbe rimasto indietro. Entrati nello sterrato della campagna, il sole diventava più caldo, e verso il sesto km ho capito che cercare di mantenere il loro passo non aveva senso. Così ho accettato di lasciarli andare. Inaspettato, come un oasi nel deserto, in mezzo alla campagna si è presentato un piccolo ristoro. Ho guardato l’orologio, e le pulsazioni erano arrivate a 170. Con gran sollievo ho visto che i ragazzi si erano fermati al ristoro, quindi ho deciso di prendere anch’io qualcosa. Non mi importava cosa, era solo una scusa per far scendere un po’ le pulsazioni. Ho ingurgitato una fetta biscottata con marmellata e sono ripartito.
A quel punto mancavano ancora 6 km, e io mi sentivo esausto. Avevo corso al di sopra delle mie possibilità, e vedevo l’arrivo come una meta lontanissima. In quel momento è partita la mia corsa vera e finalmente ho iniziato a divertirmi. Mi sono letteralmente scordato dei miei compagni, e ho iniziato a cercare un buon ritmo che mi facesse sentire impegnato ma non impiccato. Ho iniziato a guardarmi attorno, cercando di capire chi aveva senso seguire, e proprio davanti a me si è come materializzato uno splendido sessantenne che avevamo superato in precedenza, e che non si era fermato al ristoro. Sembrava decisamente sapere il fatto suo. Osservavo le sue gambe che sembravano le lancette di un metronomo. Un po’ dinoccolato, ma dava la sensazione che senza ne aumentare ne cedere di un secondo, sarebbe arrivato al traguardo e poi senza fermarsi avrebbe continuato sino a casa sua. Ho iniziato così a seguirlo, togliendomi di dosso la responsabilità di decidere a che velocità andare, e concentrandomi semplicemente sul sentire la rotondità del passo, uno dietro l’altro, a inseguirsi e spingersi a vicenda, senza più sentire la fatica di spingere ad ogni falcata. Mi sono rassicurato, avevo il mio “uomo di esperienza” che mi avrebbe portato al traguardo, e potevo anche godermi un sole che nel frattempo sempre meno timido, cosi come la mia corsa, riscaldava e rendeva particolarmente suggestiva la campagna attraversata da un biscione di colorati runners . La soddisfazione in me è stata grande, quando all’ultimo km ho capito che avevo la forza di allungare. Ho salutato e ringraziato quell’uomo a cui ero grato, e che in quei 20 minuti circa avevo anche iniziato a voler bene, e mi sono fiondato al traguardo con un  ultimo km corso alla stessa “folle velocità” del primo.

Al traguardo il generoso professore mi ha accolto con tanto di filmino, ed io ero contento come un ragazzino, imbottito di adrenalina, e felice di aver timidamente accettato quell’invito e buttato il cuore oltre l’ostacolo, che probabilmente rappresenta una perfetta metafora e sintesi della corsa. 

Corri che ti passa

Tu guarda a volte il caso. Che poi... sarà un caso? E' un paio di settimane che correndo penso ad un post sulle mie ultime sensazioni da curidùr, una sorta di “Il senso di Massi per la corsa”. Una cosa dove mettere nero su bianco la presa di coscienza di alcuni cambiamenti nel mio approccio al running dilettantistico e dilettantesco. E cosa leggo oggi sul blog dei podisti? Il resoconto del Lofa sulla mezza di Busto che finisce proprio con una sua riflessione sul suo senso della corsa. Il Lofa... Il Lofa era un altro pianeta quando io muovevo i miei timidi primi passi al Forlanini e ora, a distanza di due anni, la distanza si è fatta siderale! Lui in continuo progresso, in continuo miglioramento, io sempre lì, a navigare a vista, a corricchiare sui miei 5'15'', 5'30'' al km, roba da dilettanti appunto.
Il Lofa “che per quanto ami la corsa e per quanto vorrebbe correre per il solo gusto di farlo, è l'agonismo a muoverlo” e io lo ammiro per questo, perchè l'ho sempre visto così. Con l'obiettivo in testa, col colpo sparato (ma mai buttato lì a caso), con la corsa di gambe e di testa, con l'incitamento sempre costante a non mollare, a credere nell'impossibile. Solo che lui poi l'impossibile lo realizza, io no.
E allora eccomi lì ad arrancare sulla Cristoforo Colombo in direzione Ostia lido, a faticare come non mai in Corso Sempione, le strade delle mie due prime mezze, fino alle due ultime e non ancora documentate “imprese” della mezza di Monza e della faticosissima Medio Maraton di Valencia portata a termine col mio peggior tempo sulla distanza.
E' lì che è successo qualcosa, è in Spagna che forse ho capito che tipo di corridore sono.
A Valencia ci sono arrivato male: in piena forma fino a metà settembre con la tabella d'allenamento rispettata al centimetro (o al secondo), con la mezza di Monza che doveva essere un lento “lungo” di allenamento in vista del tempone spagnolo e che invece è stata una sorpresa per come è arrivata. Con un tempo dignitoso, ma raggiunto in progressione e con l'impressione di avere nelle gambe e nei polmoni la possibilità di fare meglio. 

Poi la catastrofe: tosse, bronchite, casini vari e Valencia che fino al venerdì della partenza era ancora un'incognita. Vado? Non vado? Vado e non corro? Parto e mi fermo? Col mio amico Filippo arrivato il giorno prima, ad aspettarmi, lui che a Valencia affrontava la sua prima mezza ufficiale, lui che ha dettato il ritmo per i primi tre chilometri dopo i quali l'ho abbandonato e ancora mi dispiace non aver potuto correre insieme, ma ero davvero molle, senza gambe, stanco. Guardavo il suo entusiasmo che era il mio alla partenza di Roma, ma vedevo anche la mia disillusione, la consapevolezza di non avere le gambe per fare un tempo decente e la delusione di correre senza l'obiettivo, senza il giusto stimolo. E gli chiedo scusa adesso, a Filippo, per non aver assecondato in pieno il suo entusiasmo, per essere stato negativo, per essermi fatto prendere dall'ansia da prestazione. Alla fine a Valencia sono arrivato in fondo, distrutto, in due ore e 10, roba da scarsoni, con le gambe di marmo e la delusione sul volto. 

Ma Valencia è stata anche la svolta. Tornato a Milano non avevo nemmeno voglia di rimettermi a correre, di rifare il solito tragitto "fontanella-fontanella", di vestirmi, di uscire al buio. Sono stato fermo un po', ho ripreso piano: pochi, lentissimi chilometri. Poi è successo... E' successo una domenica mattina. Partenza lenta, nessuna aspettativa se non quella di rimettere qualche chilometro nelle gambe e poi, improvvisamente, inaspettatamente eccolo là, lo stato di grazia, la corsa sciolta, leggera, la gamba che va per inerzia, quasi da sola, quella sensazione che per come ti senti in quel preciso istante potresti correre all'infinito! Eccolo, è tornato quell'insieme di forma fisica, leggerezza mentale, divertimento, passione, felicità. E' tornato quello che diceva Mark Rowlands, sempre lui, è tornato il piacere di correre per il gusto di correre, senza meta, senza obiettivo, senza aspettative. Uscire di casa, un passo dopo l'altro, poi un altro, un altro ancora, leggero, zen! Ecco, ora lo so, sono un podista zen!!!



24a Maratonina di Busto Arsizio, ovvero lo struggimento del podista grafomane che anela al Nirvana ma brama l'Olimpo

Alla vigilia, nel solito post ignorante in cui dichiaro il colpo, avevo scritto che faccio il possibile per stare col pacer dell'ora e venticinque, poi, chilometro dopo chilometro, vediamo cosa succede. Che mi piace questa cosa del provarci sempre, nella corsa, roba che se avessi lo stesso slancio in alcuni frangenti della vita, forse passerei meno tempo sul divano e un po' di più a divertirmi con cazzate assortite che non importa cosa siano, basta che siano cazzate. Considerazioni esistenziali a parte, provato c'ho provato, anche se già sapevo che non penso di poter tenere i 4'/Km fino al traguardo.
Infine, sempre in quel post lì, avevo scritto che mi bacio i gomiti anche per l' 1h27', ma, mio malgrado, ho dovuto risparmiarmi la mossa da contorsionista.

Sveglia ore 5:30 dopo una notte piuttosto agitata, zero soddisfazioni intestinali (e questo, lo dico seriamente, per me è un problema quando ho da correre a tutta), pulsante per chiudere la macchina che s'incastra dopo aver parcheggiato facile a Porta Vittoria. Ma treno in orario, arrivo a Busto in orario, una passeggiata di un quarto d'ora in un paese ancora sotto le coperte fino al Village, nessuna coda per il ritiro del pettorale e incontro subito Moira. Con un fazzoletto di carta in mano, bontà sua. Ce la prendiamo con tutta la calma necessaria e rimane pure una mezzora di riscaldamento/ingresso nelle gabbie. Il sole è caldo e se non tolgo la termica è solo perché ho paura che il mio intestino non gradisca. Il Garmin, non solo il mio, non riesce ad agganciare il satellite. E la gara sta per partire. Il problema si risolve da se, come sempre. E' solo una questione di tempo.

La gara parte e i pacer dell' ora e venticinque son già ben distanti. Li tengo d'occhio senza avvicinarmi troppo, anche se la scia del gruppo mi gioverebbe. I tempi sono bassi, sotto i 4'/Km, i primi 5 Km sotto i 20. Sto bene. Faccio un po' di fisarmonica con tre Ortichini che incrocio la domenica mattina al Forlanini, mi dico che di questo passo magari ci scappa anche un 10000 da ricordare. Ma tra i Km 8 e 9 il bicipite femorale destro, sempre lui, inizia a non gradire i ritmi che sta sopportando e, subito dopo, ho uno spasmo allo stomaco. Di quelli che in passato hanno preceduto la scritta game over. Ahia.

Consciamente, me ne fotto. Irrazionalmente, non so. Non so se il successivo e definitivo calo sia dovuto a uno di questi due episodi, alla somma dei due oppure al falso piano che mi accompagnerà fino al traguardo. Dei restanti 12 Km, infatti, solo uno sarà sotto i 4'15" e questo nonostante non mi risparmi. Ogni tri tri del Garmin è una pugnalata al mio morale. Mi sembra di rivivere alcuni passaggi della mia prima Maratona, in cui, per la prima volta, ho sperimentato il rifiuto del mio corpo a eseguire i comandi impartiti dalla testa.

La vera verità, però, penso debba contemplare una quarta ipotesi, che si somma alle altre ma che sta in piedi anche da sola: non ho le gambe per arrivare fino in fondo a 4'/Km, lo sapevo già prima di partire. E l'avevo pure scritto. Forse, in una giornata di stato di grazia, forse, sarei arrivato a fare più di una decina di chilometri alla massima velocità. Magari anche 21. Non questa volta. Non ora.

Al Km 17 guardo il tempo, aggiungo in maniera spannometrica la somma di 4 Km corsi a 4'30" e inizio a temere di non riuscire a chiudere sotto i 90'. Ipotesi che non voglio neanche prendere in considerazione. Da quel momento in poi decido di correrla al massimo delle mie possibilità e senza più guardare l'orologio, servirebbe solo a farmi del male. Il sopraggiungere di gruppi numerosi alle mie spalle mi fa pensare al sorpasso da parte dei pacer dei 90' e del loro seguito, ma così non è: giunto sul vialone finale, scorgo in lontananza il tabellone col tempo e vedo un 1h29' che, tagliato il traguardo, sarà 1h29'10". Speravo di meglio, l'ho già detto, ma non posso dimenticare che questa è la mia prima volta ufficiale sotto l'1h30' in un percorso certificato. E questo rimane un motivo di soddisfazione non indifferente. Per le braccia al cielo e le musiche di Vangelis c'è ancora tempo. E non ho mica fretta.

Moira arriva una quindicina di minuti dopo di me: aveva sparato, in modo troppo poco ignorante per i miei gusti, un 1h44' che le sarebbe "banalmente" valso la conferma del suo miglior tempo sulla distanza. Ha chiuso in 1h43'27". Per l'ennesima volta sotto il suo limite, gara dopo gara. Nonostante un dito (di un piede) rotto e un tour de force per il quale non so davvero dove possa trovare le energie.

Quello che ho imparato sulla montagna (cit.) a Busto Arsizio, quello che ho capito mettendo una croce sul primo dei due obiettivi di lungo termine che mi ero prefisso, quello che oggi so in maniera chiara è che per quanto ami la corsa e per quanto vorrei correre per il solo gusto di farlo, è l'agonismo a muovermi. Agonismo che intendo come ricerca, non come fine. Adrenalina, non competizione. E' darmi un obiettivo e dare tutto per ottenerlo. E', in soldoni, l'esatto contrario di ciò che serve per per aprire le porte del Nirvana. E' la ricerca del piacere e la consapevolezza, del tutto personale, che cercare è meglio che trovare.

Siddharta, ne riparliamo nella prossima vita. Forse.


Maratonina di Busto Arsizio - il colpo

La sparo grossa: faccio il possibile per stare col pacer dell'ora e venticinque, poi, chilometro dopo chilometro, vediamo cosa succede. 
In tutta ignoranza, non penso di poter tenere i 4'/Km fino al traguardo, ma non voglio neanche avere rimpianti.
Ci provo. 
E visto che il muro dell'1h30' è caduto non più tardi di 3 settimane fa, mi bacio i gomiti anche per l' 1h27'.

Moira, che si dice stanchissima, conta di metterci 1h44'.