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24a Maratonina di Busto Arsizio, ovvero lo struggimento del podista grafomane che anela al Nirvana ma brama l'Olimpo

Alla vigilia, nel solito post ignorante in cui dichiaro il colpo, avevo scritto che faccio il possibile per stare col pacer dell'ora e venticinque, poi, chilometro dopo chilometro, vediamo cosa succede. Che mi piace questa cosa del provarci sempre, nella corsa, roba che se avessi lo stesso slancio in alcuni frangenti della vita, forse passerei meno tempo sul divano e un po' di più a divertirmi con cazzate assortite che non importa cosa siano, basta che siano cazzate. Considerazioni esistenziali a parte, provato c'ho provato, anche se già sapevo che non penso di poter tenere i 4'/Km fino al traguardo.
Infine, sempre in quel post lì, avevo scritto che mi bacio i gomiti anche per l' 1h27', ma, mio malgrado, ho dovuto risparmiarmi la mossa da contorsionista.

Sveglia ore 5:30 dopo una notte piuttosto agitata, zero soddisfazioni intestinali (e questo, lo dico seriamente, per me è un problema quando ho da correre a tutta), pulsante per chiudere la macchina che s'incastra dopo aver parcheggiato facile a Porta Vittoria. Ma treno in orario, arrivo a Busto in orario, una passeggiata di un quarto d'ora in un paese ancora sotto le coperte fino al Village, nessuna coda per il ritiro del pettorale e incontro subito Moira. Con un fazzoletto di carta in mano, bontà sua. Ce la prendiamo con tutta la calma necessaria e rimane pure una mezzora di riscaldamento/ingresso nelle gabbie. Il sole è caldo e se non tolgo la termica è solo perché ho paura che il mio intestino non gradisca. Il Garmin, non solo il mio, non riesce ad agganciare il satellite. E la gara sta per partire. Il problema si risolve da se, come sempre. E' solo una questione di tempo.

La gara parte e i pacer dell' ora e venticinque son già ben distanti. Li tengo d'occhio senza avvicinarmi troppo, anche se la scia del gruppo mi gioverebbe. I tempi sono bassi, sotto i 4'/Km, i primi 5 Km sotto i 20. Sto bene. Faccio un po' di fisarmonica con tre Ortichini che incrocio la domenica mattina al Forlanini, mi dico che di questo passo magari ci scappa anche un 10000 da ricordare. Ma tra i Km 8 e 9 il bicipite femorale destro, sempre lui, inizia a non gradire i ritmi che sta sopportando e, subito dopo, ho uno spasmo allo stomaco. Di quelli che in passato hanno preceduto la scritta game over. Ahia.

Consciamente, me ne fotto. Irrazionalmente, non so. Non so se il successivo e definitivo calo sia dovuto a uno di questi due episodi, alla somma dei due oppure al falso piano che mi accompagnerà fino al traguardo. Dei restanti 12 Km, infatti, solo uno sarà sotto i 4'15" e questo nonostante non mi risparmi. Ogni tri tri del Garmin è una pugnalata al mio morale. Mi sembra di rivivere alcuni passaggi della mia prima Maratona, in cui, per la prima volta, ho sperimentato il rifiuto del mio corpo a eseguire i comandi impartiti dalla testa.

La vera verità, però, penso debba contemplare una quarta ipotesi, che si somma alle altre ma che sta in piedi anche da sola: non ho le gambe per arrivare fino in fondo a 4'/Km, lo sapevo già prima di partire. E l'avevo pure scritto. Forse, in una giornata di stato di grazia, forse, sarei arrivato a fare più di una decina di chilometri alla massima velocità. Magari anche 21. Non questa volta. Non ora.

Al Km 17 guardo il tempo, aggiungo in maniera spannometrica la somma di 4 Km corsi a 4'30" e inizio a temere di non riuscire a chiudere sotto i 90'. Ipotesi che non voglio neanche prendere in considerazione. Da quel momento in poi decido di correrla al massimo delle mie possibilità e senza più guardare l'orologio, servirebbe solo a farmi del male. Il sopraggiungere di gruppi numerosi alle mie spalle mi fa pensare al sorpasso da parte dei pacer dei 90' e del loro seguito, ma così non è: giunto sul vialone finale, scorgo in lontananza il tabellone col tempo e vedo un 1h29' che, tagliato il traguardo, sarà 1h29'10". Speravo di meglio, l'ho già detto, ma non posso dimenticare che questa è la mia prima volta ufficiale sotto l'1h30' in un percorso certificato. E questo rimane un motivo di soddisfazione non indifferente. Per le braccia al cielo e le musiche di Vangelis c'è ancora tempo. E non ho mica fretta.

Moira arriva una quindicina di minuti dopo di me: aveva sparato, in modo troppo poco ignorante per i miei gusti, un 1h44' che le sarebbe "banalmente" valso la conferma del suo miglior tempo sulla distanza. Ha chiuso in 1h43'27". Per l'ennesima volta sotto il suo limite, gara dopo gara. Nonostante un dito (di un piede) rotto e un tour de force per il quale non so davvero dove possa trovare le energie.

Quello che ho imparato sulla montagna (cit.) a Busto Arsizio, quello che ho capito mettendo una croce sul primo dei due obiettivi di lungo termine che mi ero prefisso, quello che oggi so in maniera chiara è che per quanto ami la corsa e per quanto vorrei correre per il solo gusto di farlo, è l'agonismo a muovermi. Agonismo che intendo come ricerca, non come fine. Adrenalina, non competizione. E' darmi un obiettivo e dare tutto per ottenerlo. E', in soldoni, l'esatto contrario di ciò che serve per per aprire le porte del Nirvana. E' la ricerca del piacere e la consapevolezza, del tutto personale, che cercare è meglio che trovare.

Siddharta, ne riparliamo nella prossima vita. Forse.


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